domenica 7 febbraio 2010

LINEE GUIDA, CLINICAL PATHWAY E PROCEDURE PER LA PRATICA

Linee guida, clinical pathway e procedure per la pratica



infermieristica: un inquadramento concettuale e metodologico

Paolo C. Motta

Negli ultimi anni, all’interno della professione infermieristica, si è delineata e diffusa la convinzione

che lo sviluppo scientifico, culturale e sociale dell’assistenza infermieristica sia strettamente consequenziale

alla piena valorizzazione di una competenza specifica dell’infermiere nell’ambito dell’assistenza

sanitaria, in grado di produrre - a favore delle persone assistite - ‘ propri’ risultati di salute

sostenuti da prove cliniche di efficacia (Evidence-based Nursing). Nella cosiddetta “epoca del postmansionario”,

cioè in un nuovo contesto giuridico e professionale che regolamenta il ruolo e le funzioni

dell’infermiere ormai sgravate dai limiti impliciti in un’elencazione di atti esecutivi di tipo tecnico,

il consolidamento della sfera di autonomia e di responsabilità professionale nell’assistenza impone

all’infermiere il possesso di un a rticolato bagaglio metodologico, tecnico e re l a z i o n a l e da utilizzare in

ambito clinico ed organizzativo. Si tratta, ad esempio, di definire, introdurre e sperimentare nuovi

approcci e nuovi strumenti per orientare la pratica professionale verso l’appropriatezza, l’efficacia e

l’efficienza delle prestazioni; di organizzare l’assistenza infermieristica secondo modelli gestionali

‘per pro c e s s i ’, profondamente integrati e multiprofessionali, poiché la ‘buona salute’ non può essere

considerata un esito di cui dispone una singola professionalità; di fondare la valutazione, la decisione

e l’azione clinica sulle conoscenze prodotte dalla ricerc a e su adeguati indicatori e standard, mediante

l’opportuno ricorso a strumenti quali linee-guida, raccomandazioni, percorsi clinico-assistenziali,

protocolli e procedure. In base a questa tendenza, è ragionevole prevedere che il cosiddetto ‘governo

clinico’, cioè la razionalizzazione e la standardizzazione delle attività sulla base delle prove di eff i c acia,

assumerà in futuro una rilevanza cre s c e n t e, in modo che la prassi assistenziale possa essere sempre

più ancorata alla ormai vasta ed autorevole produzione scientifica in campo infermieristico.

La pianificazione dell’assistenza e

gli strumenti della standardizzazione

Con il termine ‘ standardizzazione’ si

intende, nella sua più comune accezione

positiva, il p rocesso finalizzato ad

uniformare attività e prodotti sulla base

di norme, tipi o modelli di riferimento.

Nella pratica infermieristica, tale processo

può applicarsi - secondo la logica

propria dei sistemi di qualità - ad un

consistente numero di situazioni: infatti,

costruire ed adottare s t a n d a rd s, nel

momento della pianificazione e dell’organizzazione

degli interventi da realizzare

in risposta ai bisogni della persona

assistita, significa riferirsi ad un com -

plesso di elementi che rappresentano le

caratteristiche appropriate ed ottimali

di una determinata prestazione o di un

determinato processo.

L’etimologia del termine ‘standard’

richiama il vocabolo di lingua francese

‘ etendard’ (stendardo - bandiera): ciò

che può essere esposto; nel nostro caso,

reso pubblico e garantito all’utente.

Standardizzare, dunque, non significa

ridurre la prassi ad una routine indifferenziata

che non tenga in giusta consi-

Paolo C. Motta

IID, Docente di

Metodologia Clinica

e della Ricerc a

Infermieristica

Corso di Laurea per

I n f e r m i e re, Università

Vita-Salute

San Raffaele

D i re t t o re Scientifico

di Nursing Oggi

Nursing Oggi, numero 4, 2001 27

28 Nursing Oggi, numero 4, 2001

Teoria e metodi

derazione la soggettività della persona che si assiste,

ma a s s i c u r a re tutti coloro che beneficiano di un serv i -

zio circa il livello di qualità della prestazione re s a. In

tal senso, sono esempi di standard, per una determinata

Unità Operativa, il mancato sviluppo - per tutte le

persone allettate - di lesioni da pressione (s t a n d a rd di

esito); il colloquio infermieristico a scopo anamnestico

nelle prime ore dall’ingresso in reparto, per tutte le

persone ricoverate (s t a n d a rd di pro c e s s o); la disponibilità

di un’apposita saletta per garantire la privacy

durante l’igiene della cute e la tricotomia in preparazione

all’intervento chirurgico (s t a n d a rd di stru t t u r a).

I processi e gli strumenti della standardizzazione si

propongono, dunque, di m i g l i o r a re l’efficacia della

gestione delle situazioni cliniche e, in aggiunta, di

d i m i n u i re la variabilità di comport a m e n t i . Ancora

oggi, infatti, la probabilità che un malato riceva un

intervento sanitario efficace dipende troppo spesso

dalla singola realtà ospedaliera in cui viene ricoverato

(o addirittura dai singoli professionisti), piuttosto che

d alle reali condizioni di salute che manifesta.

Il dibattito interno alla professione infermieristica

sulle prospettive e sulle problematiche connesse

all’attività di standardizzazione riconosce un punto

di origine nella natura stessa dell’assistenza infer -

mieristica. Essa, infatti, si occupa della salute secondo

una visione olistica e non parcellizzata dei pro -

blemi di salute del singolo e della collettività ed

assume il principio della personalizzazione quale

elemento centrale di una relazione pro f e s s i o n a l e

basata sulla comprensione e sul riconoscimento della

dimensione soggettiva - biofisiologica, psicologica e

socioculturale - dei bisogni di cui il malato è portatore.

Spesso si è osservata, in tale dibattito, un’eccessiva

e non giustificata polarizzazione delle opinioni

verso due estremi: da un lato, lo scadimento della

standardizzazione nella formalistica traduzione di un

giusto principio (la volontà di codificare modalità di

intervento razionali, intersoggettive ed efficaci) in

una prassi attenta alla sola sfera biologica dei problemi

clinici - quella cioè più facilmente oggettivabile

secondo i canoni metodologici propri di un tale

approccio -, imponendo così un’organizzazione rigida

e routinaria delle attività; dall’altro, l’assunzione

di una sorta di “ideologia della personalizzazione”,

che comporta il rifiuto a standardizzare qualsiasi

intervento assistenziale (“Ogni malato è diverso

dagli altri, non si possono dare ricette”) e spesso è

utilizzata come vero e proprio alibi per legittimare

l’indisponibilità a misurare l’efficacia delle proprie

attività. A proposito della variabilità dei comportamenti

di fronte a problemi clinici analoghi, risulta

paradigmatico un lavoro pubblicato nel 19961: per il

trattamento delle ulcere varicose degli arti inferiori,

per cui era riconosciuta da un lato l’inutilità della

terapia farmacologica e dall’altro la maggiore efficacia

della fasciatura a compressione elevata o media

(con eventuale compressione pneumatica intermittente),

si era rilevato l’uso di 31 diversi tipi di medicazione,

28 diversi tipi di bendaggio e 59 diverse

preparazioni topiche...

S t a n d a rdizzazione e personalizzazione non necessa -

riamente devono essere considerate come appro c c i

contrapposti e tra loro inconciliabili: è possibile,

infatti, concepire e praticare l’assistenza infermieristica

come attività personalizzata, cioè rivolta alla persona

intesa nella sua totalità ed unicità e nella sua

peculiare esperienza di malato, e - ove possibile -

standardizzata, cioè orientata alla scelta di quegli

interventi che hanno già dimostrato, in situazioni cliniche

analoghe, una reale efficacia. Occorre, infatti,

considerare la standardizzazione come p rocesso rivol -

to non solo alle attività, a ‘ciò che si deve fare’ ma

anche - e soprattutto - agli esiti, a ‘ciò che si deve

raggiungere’ ed ai modi per controllarli e valutarli.

In altre parole, l’infermiere deve porsi non solo

come esecutore, ma anche come decisore e valutatore,

cioè come professionista autonomo e responsabile.

è questa, in sintesi, la ‘strategia basata sul risultat

o ’2, che promuove una gestione del risultato in

forma non separata dagli aspetti operativi che concorrono

al suo raggiungimento, allo scopo di impedire

quella scissione fra aspetti decisionali ed aspetti ese -

cutivi che spesso disconoscono il valore sociale del

ruolo e della funzione infermieristica. La standardizzazione

assume rilevanza professionale nella misura

in cui gli infermieri si impegnano a dimostrare l’eff icacia

delle proprie azioni ed evidenziano il contributo

concreto e specifico del nursing alla promozione, al

recupero ed al mantenimento della salute.

Nella presente relazione, saranno analizzati i principali

strumenti della standardizzazione dell’assistenza

infermieristica: linee guida, percorsi clinicoassistenziali

(clinical pathway) e procedure. Di ciascuno

di essi, si illustreranno le caratteristiche

salienti, in ordine alla metodologia con cui sono pro -

dotti e alle condizioni di utilizzo nella pratica assi -

stenziale. L’adozione combinata di tali strumenti

richiede, infatti, un puntuale inquadramento concet -

tuale e metodologico ed il loro corretto posizionamento

in una definita organizzazione funzionale e

gerarchica.

Nursing Oggi, numero 4, 2001 29

Linee guida, clinical pathway e procedure

- La p rocedura inferm i e r i s t i c a è considerata la

forma di standardizzazione più elementare. Essa

formalizza una tecnica infermieristica semplice

(ad esempio: l’iniezione intramuscolare, il drenaggio

posturale, il rilievo della temperatura corporea,

ecc.) o complessa (ad esempio: il monitoraggio dei

parametri clinici nel periodo post-operatorio, il

controllo delle infezioni urinarie nelle persone portatrici

di catetere vescicale, la valutazione dello

stato di nutrizione-idratazione, ecc.). Rappresenta,

pertanto, uno strumento finalizzato prevalentemente

al controllo della qualità tecnica di una sequen -

za lineare di comport a m e n t i, anche indipendentemente

dalla sua appropriatezza3.

- Il percorso clinico-assistenziale (in lingua inglese

clinical pathway, che alcuni autori chiamano

anche protocollo), invece, prestabilisce un determinato

corso d’azione, un determinato iter diagno -

stico, terapeutico ed assistenziale da attivare a

fronte di una situazione clinica tipica. Ad esempio,

con tale strumento, può essere codificato il percorso

necessario alla preparazione ad un determinato

intervento chirurgico o ad una determinata indagine

diagnostica; oppure, quello per recuperare l’autonomia

nell’alimentazione e nel movimento delle

persone colpite da ictus con emisindrome. Il percorso

clinico-assistenziale, pertanto, riguarda il

controllo sia della qualità, sia dell’appropriatezza

di un insieme di attività, a volte maggiormente

legate alla diagnosi e alla cura della malattia o, in

altri casi, concernenti la sfera autonoma dell’assistenza

infermieristica. Poiché spesso non è possibile

separare nettamente la competenza medica da

quella infermieristica, un efficace strategia per la

costruzione dei clinical pathway è rappresentata

dall’approccio interdisciplinare. Tali strumenti

assumono spesso una forte connotazione locale, in

ragione delle specifiche condizioni strutturali -

anche di carattere extra-scientifico - in cui si realizza

l’assistenza medica ed infermieristica nelle

diverse realtà sanitarie.

- La linea guida, secondo la classica definizione

dell’American Institute of Medicine, è un insieme

di raccomandazioni sviluppate in modo sistemati -

co (cioè basate sulle prove scientifiche esistenti a

favore o contro un determinato intervento) allo

scopo di s o s t e n e re medici, infermieri ed utenti

nelle decisioni da pre n d e re. Essa, dunque, non

viene concepita come uno schema di sequenze

comportamentali da seguire ed applicare in modo

rigido, ma come una sintesi ragionata delle

m i g l i o ri informazioni scientifiche disponibili

circa le modalità di diagnosi, cura ed assistenza

più appropriate in un determinato contesto, realizzata

allo scopo di facilitare il decision making

di un professionista e dello stesso paziente. Le

linee guida, inoltre, sono attualmente valorizzate

poiché assolvono scopi che oltrepassano il semplice

accordo intersoggettivo tra operatori nella

pratica: esse rappresentano uno strumento multidisciplinare

di esplicitazione della ‘buona pratica

clinica’ non solo tra gli ‘addetti ai lavori’, di trasparenza

e coinvolgimento nei rapporti con utenti,

politici ed amministratori. Numerosi autori,

infine, associano l’adozione delle linee guida alla

gestione economica dei sistemi sanitari, poiché

esse rappresentano uno strumento di controllo ed

allocazione in condizioni di squilibrio tra risorse

sempre più limitate e domanda di prestazioni

sempre più costose.

Le linee guida

Le linee guida di pratica clinica sono ‘ documenti

sviluppati sistematicamente per aiutare medici,

infermieri e pazienti a scegliere la più appro p r i a t a

assistenza sanitaria in specifiche circostanze clini -

c h e ’. Esse sono prodotte, in genere, da società

scientifiche, associazioni professionali ed istituzioni

sanitarie. Non è possibile individuare un formato

unico per la loro redazione, poiché le linee guida

possono variare di dimensione in relazione all’arg omento

(dalla gestione degli accessi venosi intravascolari

o dell’incontinenza urinaria, all’appropriatezza

clinica e deontologica dell’utilizzo dei placebo

o dei mezzi di contenzione fisica, ecc.).

La metodologia di costruzione di una linea guida

prevede un percorso sintetizzabile in alcune fasi

principali:

1. la scelta e la definizione dell’“oggetto” (o arg omento)

sui cui verte la linea guida;

2. la previsione dei possibili benefici clinici, dei

vantaggi e degli svantaggi connessi alla sua adozione,

sulla base di una rassegna sistematica delle

prove scientifiche e del parere di esperti;

3. la considerazione delle implicazioni di carattere

anche generale della sua adozione, ad esempio in

merito alle risorse disponibili;

4. lo sviluppo di raccomandazioni di pratica clinica;

5. la redazione della linea guida;

6. l’adozione della linea guida.

Le linee guida - che possono riguardare attività preventive,

diagnostiche, terapeutiche e di follow-up -

30 Nursing Oggi, numero 4, 2001

Teoria e metodi

prevedono lo sviluppo di specifiche raccomandazioni,

‘pesate’in base al concetto di ‘forza’: maggiore è la

consistenza delle prove derivate dalla ricerca scientifica

(la cosiddetta ‘evidence’), maggiore sarà l’accordo

degli operatori alle raccomandazioni contenute

nelle linee guida. Le raccomandazioni sono, dunque,

l’elemento centrale di ogni linea guida, poiché

affermano chiaramente il tipo di azione da fare o da

non fare in specifiche circostanze (ad esempio: l’uso

di un protettore impermeabile dei lembi della ferita

riduce le infezioni postoperatorie)4.

Le linee guida sono nate allo scopo di concentrare

un volume sempre più ampio ed articolato di cono -

scenze scientifiche in un formato più facilmente uti -

l i z z a b i l e ed applicabile al singolo caso clinico.

Infatti, la produzione di lavori scientifici è in continuo

aumento e si stima che, ogni anno, vengano

pubblicati oltre due milioni di articoli di medicina, in

circa 20.000 riviste.

I metodi per lo sviluppo delle linee guida cliniche

sono essenzialmente tre:

- l’opinione dell’esperto;

- le conferenze di consenso (consensus conferences);

- le revisioni sistematiche.

Il primo metodo è ritenuto il meno attendibile.

Infatti, l’opinione dell’espert o è il prodotto di un

processo non strutturato e generalmente informale,

basato sull’esperienza di un singolo in un determinato

campo.

La consensus confere n c e ha invece lo scopo di

verificare il grado di accordo tra esperti circa la

gestione di una determinata situazione clinica, partendo

dall’analisi dei dati disponibili in letteratura.

Si tratta, in pratica, di un incontro a carattere multidisciplinare

a cui partecipano personalità riconosciute

per competenza ed assenza di conflitto di interessi

e che è preceduto da una fase preparatoria in cui

sono formulati i quesiti a cui la conferenza deve fornire

una risposta. A guidare le decisioni delle consensus

conferences sono generalmente i risultati

degli studi clinici controllati.

Le conferenze tendono a stimare il grado di accordo

(misure di consenso) e a risolvere il disaccordo

(sviluppo del consenso), secondo sistemi di graduazione

riferiti alle prove cliniche. Tra questi, quello

suggerito dal Council of Health Care Te c h n o l o g y

statunitense (in cui il massimo grado di accordo è

rappresentato dal grado I, per poi decrescere progressivamente)

è il seguente:

- grado I: accordo basato su studi clinici controllati

correttamente eseguiti;

- grado II-a: accordo basato su studi clinici non controllati

correttamente eseguiti;

- grado II-b: accordo basato su studi di coorte o

caso-controllo correttamente eseguiti;

- grado II-c: accordo basato su studi basati sull’osservazione

di serie temporali, in presenza o assenza

di un intervento;

- grado III: accordo basato su opinioni di esperti

basate essenzialmente sull’esperienza clinica,

meno frequentemente su studi descrittivi.

Le revisioni sistematiche sono strumenti generalmente

retrospettivi ed osservazionali (poiché si basano

su risultati già noti), in grado di sintetizzare in

un’unica stima l’insieme delle prove scientifiche a

favore o contro un determinato intervento. Quando i

risultati degli studi originali sono sintetizzati, ma

non statisticamente combinati, si parla di revisione

sistematica qualitativa; quando i risultati dei singoli

studi sono combinati statisticamente, si parla di revi -

sione sistematica quantitativa o di m e t a n a l i s i .

L’ordinamento, il costante aggiornamento e la diffusione

di tali strumenti è divenuto, in questi ultimi

anni, l’obiettivo di un gruppo sempre più vasto di

clinici, metodologi ed utenti, associatisi nella

Cochrane Collaboration5.

Il p rocesso di produzione e di disseminazione delle

linee guida ha una certa durata e consta di varie fasi:

una buona linea guida non si fa in una settimana, ma

da un minimo di 6 mesi ad un anno. La prima fase è

rappresentata dalla costituzione di un g ruppo di

r i c e rca multidisciplinare, deputato ad individuare una

priorità, che generalmente coincide con un’area clinica

in cui è dimostrata la necessità di introdurre linee

guida, a causa di una notevole variabilità dei com -

portamenti. Una volta definiti il problema clinico e le

pratiche correnti, si passa alla ricerca delle prove

disponibili in letteratura. Le fonti di informazione

usate sono molteplici. In particolare, possono essere

classificate sostanzialmente in tre categorie:

1. le fonti tradizionali (un collega esperto, i trattati

ed i libri di testo, le revisioni tradizionali);

2. le banche-dati biomediche, che indicizzano gli

articoli pubblicati nelle riviste specializzate

(Medline, Embase e Cinhal, per l’ambito infermieristico);

3. le pubblicazioni secondarie, che si basano su letteratura

‘filtrata’secondo criteri evidence-based;

4. le revisioni sistematiche.

Per sintetizzare i risultati, si descrivono e si classifi -

cano le ricerche condotte in accordo con i livelli di

evidence. Infatti, in funzione del tipo e della qualità

Nursing Oggi, numero 4, 2001 31

Linee guida, clinical pathway e procedure

delle prove disponibili, le raccomandazioni cliniche

delle linee guida possono essere classificate nel

seguente modo:

- Classe A - Esistono buone prove scientifiche che

supportano le raccomandazioni di utilizzare un

dato intervento nella pratica clinica;

- Classe B - Esistono discrete prove scientifiche che

supportano le raccomandazioni di utilizzare un

dato intervento nella pratica clinica;

- Classe C - Esistono scarse prove scientifiche per

consigliare o meno l’utilizzo di un dato intervento

nella pratica clinica, ma esistono altre considerazioni

a supporto delle raccomandazioni;

- Classe D - Esistono discrete prove scientifiche che

supportano le raccomandazioni di non utilizzare un

dato intervento nella pratica clinica;

- Classe E - Esistono buone prove scientifiche che

supportano le raccomandazioni di non utilizzare un

dato intervento nella pratica clinica.

Uno degli aspetti principali delle linee guida è che la

loro produzione, e quindi la formulazione delle raccomandazioni

che da esse derivano, deve essere fondata

da un punto di vista scientifico. I requisiti a cui

dovrebbero rispondere le linee guida, suggeriti

dall’Agency for Health Care Policy and Researc h,

sono i seguenti:

- validità: una volta adottate, le linee guida devono

produrre un miglioramento in termini di salute e di

economicità;

- riproducibilità: gruppi diversi, partendo dalle

medesime prove, devono essere in grado di produrre

le medesime raccomandazioni;

- rappresentatività: le linee guida devono essere

prodotte attraverso il coinvolgimento di varie

figure interessate al problema (è dimostrato che

le linee-guida prodotte da gruppi multidisciplinari

tendono ad essere più ragionevoli e meno restrittive);

- attendibilità: tutti gli operatori, nelle medesime circostanze

cliniche, interpretano ed applicano in

modo sostanzialmente sovrapponibile le raccomandazioni;

- applicabilità: le linee guida devono far riferimento

a coorti di pazienti con caratteristiche definite;

- flessibilità: le linee guida devono considerare quali

situazioni devono considerarsi eccezioni e quali tra

le indicazioni di preferenza dei pazienti possono

essere prese in considerazione;

- chiarezza: le linee guida devono essere presentate

in un formato consono all’uso nella pratica clinica,

senza utilizzare un linguaggio ambiguo;

- concretezza: le linee guida devono raccomandare

azioni specifiche;

- documentabilità: le linee guida devono riportare il

nome dei partecipanti alla loro produzione, la

metodologia utilizzata e le prove scientifiche su

cui sono basate, nonché la qualità di queste ultime;

- aggiornabilità: le linee guida devono prevedere in

quali circostanze esse stesse devono essere

aggiornate rispetto alle prove scientifiche di riferimento.

Le linee guida rappresentano un valido strumento

per la pratica clinica, per l’aggiornamento e per l’educazione

permanente. Tuttavia, una scelta diversa

da quella suggerita dalle linee guida, motivata e

riportata sulla documentazione, non deve essere

interpretata necessariamente come malpractice, in

virtù dei principi della libertà di cura e della personalizzazione

dell’assistenza cui si è accennato nel

paragrafo precedente.

Le linee guida offrono altri potenziali vantaggi per

il paziente. Spesso una versione divulgativa ‘per l’utente’,

realizzata tramite depliant o videotape, riesce

ad informare esaustivamente circa le diverse opzioni

terapeutiche, aiutando i pazienti a partecipare alla

scelta del trattamento in modo più consapevole.

I percorsi clinico-assistenziali (clinical pathway)

I percorsi clinico-assistenziali (clinical pathway)

prestabiliscono uno schema ottimale della sequenza

dei comportamenti in relazione all’iter diagnostico,

terapeutico ed assistenziale da attivare a fronte di

una situazione clinica tipica, allo scopo di massimizzare

l’efficacia e l’efficienza delle attività. Ta l i

schemi, da considerarsi comunque flessibili e non

statici, presuppongono, perciò, la possibilità di essere

impiegati nella maggior parte dei casi in cui si

presenta una determinata situazione o patologia.

Essi prevedono la costruzione di un percorso metodologico

incentrato sui seguenti aspetti principali:

1. la definizione delle caratteristiche cliniche (o

patologiche) del paziente a cui si riferisce il clini -

cal pathway;

2. la specificazione delle azioni diagnostiche, tera -

peutiche ed assistenziali e la loro sequenza;

3. la definizione degli esiti di salute, in termini di

promozione, miglioramento o mantenimento della

situazione clinica presente, ad esempio, all’inizio

del ricovero.

Alcuni autori associano i percorsi clinico-assistenziali

al Managed Care System ed alla necessità di esplicitare

all’interno della singola struttura sanitaria gli

32 Nursing Oggi, numero 4, 2001

Teoria e metodi

standard minimi di cura ed assistenza. Inoltre, essi

sono considerati parte integrante del sistema di

documentazione delle attività svolte dai medici e

dagli infermieri.

I clinical pathway in ambito infermieristico possono

essere costruiti in relazione:

- ad un particolare processo diagnostico (ad esempio,

la valutazione dei bisogni di assistenza infermieristica

della donna portatrice di tumore alla

mammella);

- ad un particolare insieme di trattamenti (ad esempio,

il recupero dell’autonomia nel soddisfacimento

del bisogno di eliminazione dopo un intervento

chirurgico di gastrectomia);

- ad un iter diagnostico o terapeutico da condurre in

collaborazione con altre figure sanitarie.

La concezione del percorso clinico-assistenziale come

s t rumento metodologico di pianificazione dell’assi -

stenza infermieristica, impone l’esame delle condizio -

ni operative che ne rendono possibile (ed utile) la

costruzione e l’applicazione a specifiche situazioni

cliniche. Occorre cioè individuare correttamente le

c i rcostanze in presenza delle quali è possibile definire

un profilo di assistenza infermieristica standard i z z a t o

per situazioni cliniche pre v e d i b i l i , le sole che possono

essere oggetto della costruzione di protocolli:

- l ’ e m e rgere di una situazione clinica sufficiente -

mente ed univocamente delineata;

- la prevedibilità, in tale situazione, di uno più biso -

gni di assistenza infermieristica, della loro modalità

di manifestazione, delle loro eventuali cause;

- la possibilità di esplicitare uno o più esiti finali;

- la possibilità di scegliere ed indicare atti da eseguire

e specifiche procedure da rispettare, specificando

modalità, tempi, repertorio di risorse, ecc.;

- la possibilità di definire criteri (indicatori e stan -

dard) per valutare l’efficacia dell’intervento professionale;

- la possibilità di personalizzare il protocollo, cioè

di realizzare la flessibilità, modificando alcune sue

parti, affinché si adatti meglio alle particolari esigenze

manifestate dalla persona assistita6.

Il percorso clinico-assistenziale, pertanto, rappresenta

una scelta da realizzare sulla base dell’analisi dei

bisogni di assistenza infermieristica identificati e

della situazione in cui si manifestano, poiché è

necessario verificare la presenza delle condizioni

sopra descritte per attivare un protocollo (conditio

sine qua non sono, appunto, la prevedibilità della

situazione clinica e la tipicità della categoria diagnostica,

cioè il bisogno di assistenza infermieristica).

L’adozione dei clinical pathway, pertanto, rappresenta

una fondamentale strategia per governare il

sistema organizzativo ed informativo di una determinata

unità operativa, poiché orienta la prassi in funzione

del controllo dei risultati degli esiti assistenziali

e, quindi, della qualità delle prestazioni. Inoltre,

la diffusione di tali strumenti potenzia e favorisce

l ’integrazione interd i s c i p l i n a re ed il ruolo degli

infermieri nell’organizzazione dell’assistenza infer -

mieristica e nel controllo della qualità.

Le procedure

Le p ro c e d u re infermieristiche rappresentano la

forma di standardizzazione più elementare, poiché si

riferiscono ad una successione logica di azioni, più o

meno rigidamente definite, allo scopo di raccomandare

la modalità tecnicamente ottimale di eseguire

una tecnica infermieristica semplice o complessa.

Obiettivo delle procedure è dunque la riduzione della

variabilità ingiustificata ed il perseguimento di una

relativa uniformità dei comportamenti. Il fatto che tali

strumenti riguardino unità anche elementari di un

determinato processo assistenziale (ad esempio, il

posizionamento di dispositivi intravascolari nella preparazione

all’angiografia venosa, la sostituzione dei

contenitori di raccolta dei sistemi di drenaggio toracico,

ecc.), rende possibile - e spesso auspicabile - una

loro trasversalità di utilizzo, cioè l’adozione o lo

‘ scambio’ della procedura tra differenti unità operative

ed il loro inserimento all’interno di specifici percorsi

clinico-assistenziali.

Oltre alle procedure dirette alla standardizzazione

della pratica infermieristica, si possono costruire

procedure dirette alla standardizzazione dei metodi e

degli strumenti (ad esempio, le modalità per il passaggio

delle informazioni al cambio del turno di servizio)

o, ancora, procedure dirette alla standardizza -

zione dell’organizzazione delle attività infermieristi -

che e domestico-alberg h i e re (ad esempio, la documentazione

infermieristica da rilasciare alla dimissione

o l’acquisizione e la distribuzione dei pasti

dalla cucina centralizzata).

Uno schema generale per la costruzione di procedure

deve considerare:

- la definizione di un titolo, descrittivo del campo di

applicazione della procedura e dei suoi scopi;

- la formulazione di un glossario delle sigle e delle

definizioni utilizzate nel testo della procedura;

- la definizione delle responsabilità e delle compe -

tenze degli operatori coinvolti nell’esecuzione

della procedura;

Nursing Oggi, numero 4, 2001 33

Linee guida, clinical pathway e procedure

- la definizione della sequenza, delle modalità, della

tempistica e dell’impiego di risorse e materiali per

ciascuna attività che compone la procedura;

- la segnalazione delle possibili complicanze;

- le eccezioni alla sua applicazione;

- la bibliografia di riferimento;

- l’indicazione degli autori che hanno formulato la

procedura;

- la data della stesura e delle eventuali revisioni.

Le attività che meritano di essere oggetto di una specifica

procedura devono essere strettamente legate a

ciò che i professionisti ritengono realmente utile o

necessario al miglioramento dell’attività clinica e di

équipe. Infatti, il percorso di costruzione, applicazione

e verifica continua delle procedure è comunque

complesso e richiede un investimento di risorse

(tempo, materiali, energie intellettuali, accordo tra

professionisti, ecc.) e non può essere destinato ad

‘ o g g e t t i ’ non percepiti come prioritari o magari

‘imposti’da altre figure professionali o dalle direzioni.

Alcune teorie manageriali forniscono numerose

tecniche per ‘scovare’ l’attività su cui è necessario, o

più utile, o più conveniente orientarsi. Ad esempio, il

cosiddetto ‘incidente critico’, che può essere utilizzato

in qualsiasi ambito o specialità: tutti gli operatori

si impegnano a monitorare, per un certo periodo

di tempo, l’attività di reparto allo scopo di registrare

(meglio per scritto) eventuali errori, malpractices, e

lamentele e di individuare i problemi più gravi o più

frequenti di una realtà. Questa tecnica è facilmente

applicabile anche se ha dei limiti. Il problema individuato

diviene il punto di partenza per la costruzione

delle procedure: il passaggio successivo consiste nel

cercare di standardizzare tutte le attività che incidono

sul manifestarsi di quel determinato problema.

Naturalmente, non c’è un’unica modalità che deve

essere adottata per costruire una procedura. Ad ogni

modo, è indispensabile che alla sua redazione con -

c o rrano in primo luogo i ‘clinici’ e che si evitino

a p p rocci top-down generati da coordinatori, diri -

genti, docenti o altro … Ugualmente, è necessaria

una piena condivisione da parte di tutti gli utilizzatori:

non serve formalizzare una procedura se poi è

rispettata solo da alcuni; a questo proposito, la

migliore garanzia della massima condivisione è data

dal lavoro di gruppo. Infine, devono essere codificate

e condivise non solo le modalità di applicazione

(quando la si applica, in quali situazioni, per quali

assistiti, ecc.) ma anche le modalità di aggiornamen -

to continuo e revisione: anche su questo aspetto non

esistono regole fisse, vale la ricerca della massima

partecipazione e del massimo coinvolgimento possibili

degli utilizzatori.

Esistono pareri discordanti sui ruoli e sulle funzioni

di controllo, verifica e certificazione delle procedure

e dei diversi strumenti della metodologia e della

pratica di nursing. Per molti versi, è un aspetto che

attiene in primo luogo la politica professionale e,

dunque, risente delle diverse concezioni che i professionisti

hanno di figure, istituti ed organi quali i

Collegi, le associazioni professionali, i propri dirigenti,

ecc. Tuttavia, se è vero che una gestione verticistica

della fase produttiva può risultare scarsamente

motivante, è altrettanto vero che un’efficace forma

di controllo al di sopra della singola unità operativa

consente una più ampia diffusione e condivisione

delle esperienze maturate a livello locale.

S t a n d a rdizzazione o personalizzazione? Un

falso dilemma

La riflessione sulla standardizzazione dell’assistenza

infermieristica rimanda alla più generale questione

della dimensione tecnica del nursing. L’ e v o l u z i o n e

tecnologica della medicina e dell’assistenza infermieristica

rappresenta, per molti infermieri, una

delle principali cause del rischio di disumanizzazio -

ne, depersonalizzazione e ‘ cosificazione’ della persona

assistita. In altre parole, la tecnica si tradurrebbe

in comportamenti clinici routinari e ‘burocratizzati’

e porterebbe alla negazione dell’individualità,

della soggettività e della dignità dei pazienti, al

punto, dunque, da mettere in discussione il ruolo

stesso degli infermieri, privati in qualche misura, ad

opera della tecnologia, della loro ragione sociale e

delle finalità assistenziali. Il nursing scientifico e

tecnologico, secondo tale prospettiva, promuove un

paradigma confliggente con l’imperativo deontologico

dell’infermiere di ‘essere vicino’(tale è l’etimologia

latina del termine ‘assistenza’: ad- sisto) e di

prendersi cura della persona in toto, in una relazione

professionale autentica e di tipo empatico. Per altri

infermieri, viceversa, la tecnologia costituisce non

solo un aiuto concreto nella pratica clinica, ma anche

un fattore di professionalizzazione da non trascurare.

In tal senso, gli infermieri avrebbero ottenuto una

più salda consapevolezza della propria identità professionale

ed un maggior riconoscimento sociale

proprio in ragione della competenza tecnica specifi -

ca, elemento maturato attraverso impegnativi percorsi

di studio e distintivo nei confronti delle tante

figure di supporto, che si limitano ad un’assistenza

generica, esecutiva e poco tecnologica.

34 Nursing Oggi, numero 4, 2001

Teoria e metodi

A nostro parere, il problema del rischio tecnicistico

non riguarda la tecnica in sé, ma il più generale

contesto assistenziale nella quale viene eserc i t a t a:

non il catetere, non la sequenza procedurale per

posizionarlo o rimuoverlo, ma il processo infermieristico

che porta a pianificare ed eseguire il cateterismo

e la relazione con l’infermiere che si svolge

prima, durante e dopo l’intervento tecnico possono

esporre la persona ad un’assistita routinaria e spersonalizzata.

È il metodo ad essere chiamato in causa,

non l’oggetto tecnologico o il procedimento formale

con il quale deve essere usato. L’infermiere può

essere in grado di compiere numerosi ed impegnativi

interventi tecnici, anche standardizzati, senza,

per questo, rinunciare all’azione complementare

della propria p rofessionalità relazionale, comunica -

tiva e, persino, art i s t i c a. Alla tecnica dei ‘tecnici’ e

delle fredde macchine, l’infermiere può sempre

accompagnare una tecnica più adeguata allo scopo

della promozione della salute. La personalizzazione

dell’assistenza non dipende dalla scelta della tecnica,

ma dalla sua collocazione in un rapporto professionale

autentico, capace di riconosce nella persona

assistita non un ‘oggetto’, ma un soggetto7. Milos

Janicek ha definito il rapporto tra standardizzazione

e soggettività del malato come ‘il crocevia di clinica,

etica ed economia’. In tal senso, collegare la

convinzione dell’opportunità di perseguire la prati -

ca sanitaria basata sulle prove con i valori a cui il

malato fa riferimento e le sue pre f e renze costituisce

il vero fondamento della Evidence-based Practice8.

Infatti - aggiunge - non è tanto difficile identificare

una ‘prova di eff i c a c i a ’ capace di suggerire un

comportamento o di sollecitare l’assunzione di una

decisione clinica, quanto, piuttosto, riuscire a renderla

compatibile con le preferenze tacite o espresse

dal paziente. In questo senso, la ricerca qualitativa

- spesso fortemente sostenuta da psicologi,

sociologi ed infermieri - può contribuire ad una

migliore comprensione della realtà, mediante lo

studio dei singoli ‘casi’ (le cosiddette ‘ c l i n i c a l

situations’). Oggi è accettato che la ‘clinimetrics’,

cioè l’attenzione alle ‘misure in clinica’ non si

debba limitare alla pressione arteriosa o al livello di

colesterolo, ma debba prestare massima attenzione

anche alla raccolta dei dati ‘soft’, intendendo, con

questo termine, sentimenti quali la tristezza, la solitudine,

lo sconforto.

Ecco, dunque, che la costante attenzione alla personalizzazione

dell’assistenza, tipica della moderna

dottrina infermieristica, può riorientare i più moderni

modelli di standardizzazione verso soluzioni non

deterministiche ma sistemiche, cioè basate su una

visione olistica della persona assistita e dei suoi

bisogni di salute, non rigide ma flessibili, non mera -

mente tecniche ma professionali.

Conclusioni

Gli effetti benefici del trasferimento nella pratica clinica

di linee guida, raccomandazioni, percorsi clinico-

assistenziali e procedure dipendono da numerosi

fattori, dei quali i più rilevanti, in ordine alla natura

dell’assistenza infermieristica, sono:

1. il giusto grado di flessibilità nell’interpretare ed

utilizzare tali strumenti, in ragione della situazione

clinica e delle caratteristiche individuali dei

pazienti; diversamente, si incorrerebbe nell’ecces -

so di standardizzazione e nel conseguente approccio

routinario alla cura della persona;

2. una cultura professionale ed organizzativa inter -

d i s c i p l i n a re e d’équipe, orientata alla qualità dei

risultati, all’efficienza e, soprattutto, disponibile

al cambiamento9.

Infatti, nel percorso di crescita delle competenze

infermieristiche, occorre sapersi aprire ad una vera

logica interdisciplinare. Accettare che ciascuna figura

professionale agisca ‘in proprio’, con metodi propri

e decisioni indipendenti ed interessandosi solo ad

una ‘porzione’ della salute della persona (come se

esistesse un malato degli infermieri diverso da quello

dei medici, essendovi invece solo e soltanto un

malato!) impedisce la condivisione delle responsabi -

lità ed il miglioramento della qualità dell’assistenza

sanitaria. Tale aspetto coinvolge dunque, ancora una

volta, il rapporto tra clinica ed organizzazione: se è

vero che la diagnosi e la decisione clinica si riferiscono

giuridicamente ad una sola figura, in quanto

responsabile dell’assistenza assicurata ad un beneficiario,

le decisioni gestionali spettano all’intera

équipe e su di essa ricadono. Ciò implica che la traduzione

operativa dei principi di una pratica fondata

sulle prove scientifiche non può sottrarsi alla

costruzione interdisciplinare di standard che garantiscano

all’infermiere, come alle altre figure sanitarie,

di inserire il proprio contributo professionale all’interno

di obiettivi di salute condivisi da tutti i soggetti

coinvolti nella presa di decisione. Soprattutto a questo

devono servire l’autonomia e la responsabilità

riconosciute agli infermieri attraverso la nuova normativa,

che definisce l’assistenza infermieristica

come p rofessione sanitaria e non più come p r o f essione

sanitaria ausiliaria.

Nursing Oggi, numero 4, 2001 35

Linee guida, clinical pathway e procedure

Note

1. L. Freak et Al., “Leg ulcer care in the UK: an audit of

c o s t - e ffectiveness”, Health Tre n d s , 27, 1996: pp.

133- 136.

2. P. Di Giulio, “Una strategia professionale basata sul

risultato”, Foglio Notizie, 4, 1997.

3. Mentre la qualità attiene alla valutazione della razionalità

tecnica, dell’efficienza e, soprattutto, dell’efficacia

di un intervento, l’appropriatezza riguarda la valutazione

della necessità di un intervento in relazione alle

condizioni cliniche manifestate dal paziente. Una procedura,

pertanto, potrebbe essere condotta in modo

ineccepibile sul piano della qualità tecnica, ma rivelarsi

inappropriata in relazione alle condizioni di salute

della persona a cui è stata destinata.

4. P. Di Giulio (a cura di), “Operatori ed assistiti, quanto

conta il rapporto”, L’Infermiere, 2, 2001, p. 55.

5. Si è soliti collegare la nascita dell’Evidence- based

Medicine al pensiero e all’opera svolta, soprattutto

negli anni Settanta, dall’eminente epidemiologo inglese

Archibald Cochrane, tra i primi a sottoporre a critica

spietata la prassi medica, a suo parere troppo ‘indifferente’

ai risultati della ricerca scientifica. Ma solo nel

1992 è stato coniato il nuovo termine, in un articolo

intitolato “Evidence-based Medicine: a New Approach

to Teaching the Practice of Medicine” pubblicato da

JAMA. Nel 1993 viene fondata la C o c h r a n e

Collaboration, una struttura internazionale con il compito

di preparare, aggiornare e diffondere re v i s i o n i

sistematiche degli studi clinici controllati sugli effetti

dell’assistenza sanitaria e, laddove non siano disponibili

studi clinici controllati, revisioni sistematiche delle

evidenze comunque esistenti. Nel 1996, David Sackett

fornisce una prima articolata definizione di EBM: una

prassi medica nella quale la valutazione degli atti diagnostici

e le decisioni concernenti gli interventi terapeutici

sono effettuati sulla base di un’analisi attenta e

sistematica delle informazioni che provengono dalla

più recente ricerca clinica.

6. P.C. Motta, “Protocolli infermieristici: un inquadramento

concettuale e metodologico”, Nursing Oggi, 4,

1998.

7. P.C. Motta, “Tecnica ed assistenza infermieristica: un

inquadramento concettuale”, in L’infermiere e l’evolu -

zione della prassi: le proposte dei pro f e s s i o n i s t i ,

XXXIII Congresso Nazionale promosso dall’A.N.I.N.,

Rimini, 2001.

8. M. Janicek, Casi clinici ed Evidence-based Medicine,

Roma, 2001.

9. A tale proposito, Paola Di Giulio sottolinea come il

miglioramento continuo della qualità dipenda dalla

sola iniziativa volontaristica degli operatori ma preveda

il coinvolgimento dell’intera organizzazione, perché

molti cambiamenti, anche nella clinica, devono poter

contare su un supporto delle direzioni e su un impegno

di risorse. “[…] non c’è nulla (forse molto poco) che

possa essere fatto dai soli medici o dai soli infermieri”.

P. Di Giulio, “L’assistenza infermieristica basata sulle

evidenze”, in F. Cavazzuti, G. Cremonini, Assistenza

geriatrica oggi, Milano, 1998.

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miglioramento della qualità in ambito ospedaliero,

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36 Nursing Oggi, numero 4, 2001

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